Omicidio colposo al medico sportivo che consente l'agonismo nonostante l'aritmia
Il certificato di idoneità a giocare a calcio a livello agonistico rilasciato con leggerezza può costare al medico la condanna per omicidio colposo. Verdetto contro il quale uno specialista in medicina dello sport ha fatto, senza successo, ricorso in Cassazione. La Suprema corte (sentenza 32154, depositata ieri) ha confermato la decisione, presa dai giudici di merito, contro il professionista che aveva consegnato a un quattordicenne un via libera all'attività agonistica, malgrado segnali che avrebbero dovuto indurre a fare esami più approfonditi di quelli previsti in una visita di routine.
Evidente, secondo la IV sezione penale, la negligenza dello specialista che aveva ignorato sia l'informazione della madre del ragazzo su una aritmia parossistica, poi regredita, che il figlio aveva avuto a cinque anni, sia il referto del cardiologo che segnalava, nonostante la normalità del tracciato elettrocardiografico, la presenza di una «deviazione assiale a sinistra».
Il ricorrente ha cercato di addossare al cardiologo obblighi che, in quanto firmatario del certificato, incombevano a lui. Ha poi tentato di dimostrare la difficoltà di accertare la malattia (una cardiomiopatia ipertrofica) dopo il risultato confortante di un elettrocardiogramma privo di alterazioni. Infine ha giocato la carta della mancanza di un collegamento tra la morte del minore e la condotta negligente che gli veniva contestata: la patologia del ragazzo era tale da portarlo in qualunque momento alla morte.
I giudici hanno respinto in blocco le giustificazioni. La malattia era facilmente riscontrabile andando poco oltre gli esami di rito. Innegabile anche il nesso colpa-evento. Se è infatti, provata – ha spiegato la Cassazione – la capacità della malattia di portare a morte improvvisa altrettanto certo è che sia gli sforzi sia le emozioni costituiscono un fattore di rischio in grado di aumentare la possibilità di morte improvvisa.