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Enti non commerciali e adempimenti contabili: rendiconto annuale sempre obbligatorio (Agenzia delle Entrare - Risoluzione 126 del 16/12/2011)

 

Fonte: Fisco  e Tasse

Enti non commerciali e adempimenti contabili: rendiconto annuale sempre obbligatorio

Indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell'attività svolta dall’ente non commerciale, il rendiconto economico e finanziario è da redigere ogni anno a prescindere dall'organizzazione dell'Enc e dal tipo di attività che esercita; così chiarisce l’Agenzia delle Entrate con Risoluzione del 16/12/2011 n. 126

Per gli enti non commerciali è prevista la redazione di due distinti rendiconti:

secondo quanto stabilito dall’art. 20, secondo comma, del DPR n. 600 :
  • un rendiconto annuale economico e finanziario;
  • uno specifico rendiconto in relazione alle raccolte pubbliche di fondi effettuate occasionalmente in concomitanza di ricorrenze, celebrazioni e campagne di sensibilizzazione.
Il rendiconto annuale economico e finanziario indicato sub a) è richiesto in ogni caso, vale a dire a prescindere dalle modalità gestionali ed organizzative dell’ente non commerciale ed indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell’attività esercitata dall’ente stesso.

La corretta tenuta di tale documento contabile, infatti, costituisce lo strumento cui è tenuto l’organo di rappresentanza dell’ente non commerciale per soddisfare le esigenze informative, sia degli associati che dei terzi, in ordine alla corretta gestione economica e finanziaria del patrimonio dell’ente.
Tale documento contabile, inoltre, consente agli organi di controllo di acquisire quelle informazioni contabili necessarie per stabilire, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, le modalità operative e la struttura organizzativa dell’ente, anche al fine di determinare la sua corretta qualifica fiscale.

In relazione all’ulteriore obbligo di rendicontazione indicato sub b), richiesto dal secondo comma dell’art. 20 del DPR n. 600 del 1973 ai fini dell’agevolazione fiscale prevista per le raccolte pubbliche di fondi occasionali dall’art. 143, comma 3, lettera a), del TUIR, si ritiene che laddove un ente non commerciale non abbia esercitato alcuna delle predette raccolte, lo stesso non sia tenuto alla redazione dello specifico rendiconto.
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FONTE:  WWW.IPSOA.IT  29/12/2011

Obblighi contabili e di bilancio nella risoluzione n. 126/E/2011

Gli enti non commerciali non sfuggono al rendiconto annuale

di Massimo Piscetta
Con la risoluzione n. 126/E del 16 dicembre scorso, l'Agenzia delle Entrate interviene, rispondendo ad un'istanza di interpello, esaminando alcune casistiche concernenti l'obbligatorietà di adempimenti contabili e di bilancio attinenti gli enti non commerciali.

La fattispecie esaminata dall’Agenzia riguarda una confessione religiosa strutturata, sulla base di quanto desumibile dalla risoluzione, in forma associativa, nonché varie associazioni collegate all’ente stesso.

E’ precisato che tali associazioni sono tutte qualificabili “enti non commerciali” dal punto di vista fiscale, inquadrandosi cioè fra gli enti di cui all’art. 73 comma 1, lettera c), D.P.R. n. 917/1986 (TUIR); inoltre è riferita la circostanza secondo la quale nessuna delle associazioni beneficia né intende beneficiare delle disposizioni di decommercializzazione di cui all’art. 148, comma 3, TUIR in materia di “associazioni privilegiate”.

Due sono le domande cui l’Agenzia è chiamata a fornire una risposta, ed in particolare:

• se anche ad enti che non esercitano abitualmente attività commerciali sia imposta la tenuta di una idonea contabilità valida a fini fiscali;

• se gli obblighi di rendiconto annuale economico e finanziario, ai fini fiscali, siano esistenti anche per enti che non svolgono né attività commerciali fiscalmente rilevanti, né raccolte pubbliche di fondi.

Con riferimento alla prima questione, l’Agenzia delle Entrate coglie l’occasione per una disamina - completa, ma non innovativa - attinente agli orientamenti già consolidati in materia per valutare gli obblighi contabili degli enti non commerciali. Richiamando numerose precedenti risoluzioni in materia, tese a definire il perimetro delle attività commerciali a fini fiscali, è delineato lo scenario in funzione del quale gli obblighi contabili previsti dall’art. 20, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 sono richiesti all’ente non commerciale solo nel caso in cui venga svolta, a fianco dell’attività istituzionale, anche un’attività commerciale fiscalmente rilevante.

Il principio è del resto desumibile tramite l’interpretazione letterale della norma, rimanendo, al limite, da definire quando e secondo quali condizioni e parametri un’attività sia fiscalmente rilevante come commerciale. L’analisi dell’Agenzia delle entrate passa attraverso l’esame degli articoli 55 TUIR e 4, D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA ove, sostanzialmente e molto sinteticamente, è qualificata commerciale, alternativamente:

• un’attività fra quelle comprese nell’art. 2195 c.c. anche se non organizzata in forma d’impresa, esercitata per professione abituale ancorché non esclusiva;

• o un’attività non compresa fra quelle dell’art. 2195 c.c., diretta alla prestazione di servizi e organizzata in forma di impresa.

L’Agenzia delle Entrate sottolinea che - nel caso in cui l’attività non sia compresa fra quelle di cui all’art. 2195 c.c. - è necessario “al fine di accertare il carattere commerciale dell’attività posta in essere, verificare la sussistenza di un’organizzazione in forma di impresa”; utilizzando principi già codificati in precedenti risoluzioni (quali la n. 169/E del 1° luglio 2009, n. 122/E del 6 maggio 2009, n. 348/E del 7 agosto 2008 e n. 286/E dell’11 ottobre 2007), è definita esistente un’organizzazione in forma di impresa quanto l’attività è svolta con i caratteri della: professionalità, sistematicità e abitualità.

Inoltre, e ancora riferendosi ai contenuti argomentativi di precedenti risoluzioni ( n. 148/E del 20 maggio 2002, n. 204/E del 20 giugno 2002, n. 273/E del 7 agosto 2002 e ancora ln. 286/E dell’11 ottobre 2007), è sottolineato che anche il compimento di un unico affare, ove connotato da particolare rilevanza economica e complessità dell’operatività di esecuzione, può comportare l’emersione di presupposti impositivi manifestanti reddito di impresa per il tramite dell’evidenza di un’attività commerciale fiscalmente rilevante.

Al di là dell’articolato approfondimento concernente la definibilità o meno come fiscalmente commerciale di un’attività svolta, l’inquadramento interpretativo dell’Agenzia non presenta, in questo contesto, gradi di novità né si discosta da un’interpretazione letterale delle norme.

Diversamente invece può dirsi per la tesi espressa con riferimento al secondo quesito posto dall’associazione istante per l’interpello. In questo caso infatti, l’Agenzia esprime l’orientamento secondo il quale, l’art. 20, comma 2, D.P.R. n. 600/1973 debba interpretarsi secondo un’esegesi per la quale il “rendiconto economico e finanziario” sia un documento richiestoin ogni caso” ad un ente non commerciale, prescindendo, sostanzialmente, dall’esistenza di attività fiscalmente commerciale esercitata.

A supporto di tale orientamente è richiamata la circolare n. 124 del 12 maggio 1998 e l’argomentazione, priva in sé di precettività normativa, secondo la quale la redazione del rendiconto “costituisce lo strumento cui è tenuto l’organo di rappresentanza dell’ente non commerciale per soddisfare le esigenze informative, sia degli associati che dei terzi”. Sembra tuttavia che la ricostruzione operata dall’Agenzia ammetta una ricostruzione differente sia per ciò che riguarda le fonti normative sia con riferimento alle conseguenze interpretative.

In primo luogo, trattandosi di associazioni riconosciute l’obbligatorietà del rendiconto è testualmente prevista dall’art. 20, comma 1, c.c., il quale stabilisce che “l’assemblea delle associazioni deve essere convocata dagli amministratori una volta l’anno per l’approvazione del bilancio”.

Fonte normativa quindi in materia di bilancio per le associazioni riconosciute esiste all’interno appunto del Codice civile, prescindendo dall’esistenza di mera attività istituzionale o anche di attività fiscalmente commerciale. Le associazioni riconosciute hanno perciò obblighi di bilancio imposti dalle norme civili.

Differente il caso delle associazioni non riconosciute. Le previsioni del Codice civile infatti nulla dispongono in materia di bilancio o rendiconto limitandosi a prevedere che “l’ordinamento interno e l’amministrazione […] sono regolati dagli accordi degli associati”.

In generale, quindi, per le associazioni prive di personalità giuridica non esiste un obbligo normativo alla redazione del bilancio o rendiconto, fatte salve ovviamente previsioni che dispongono specificamente in materia.

Un obbligo in tale senso è espressamente qualificato, ad esempio, dall’art. 148, commi 3 e 8, TUIR (attraverso la disposizione imponente una clausola negli statuti secondo la quale deve essere previsto l’obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario), ma ciò solo per gli enti che intendono beneficiare delle agevolazioni in materia di “associazioni privilegiate”.

Ulteriori e analoghi obblighi sono contenuti in numerose norme speciali in materia di enti non profit (ad esempio, per le associazioni di promozione sociale di cui alla legge n. 383/2000, dispone l’art. 3, comma 1, lettera h, mentre per le organizzazioni di volontariato di cui alla legge n. 266/1991 è l’art. 3, comma 3, quello di riferimento in materia).

In nessun modo è qualificabile tuttavia che un obbligo generalizzato di rendiconto discenda dalla lettura ed interpretazione dell’art. 20, comma 2, D.P.R. n. 600/1973.

L’avverbio “indipendentemente” posto all’inizio del comma, si riferisce infatti alla circostanza che, anche qualora un ente abbia predisposto il bilancio, perché espressamente tenutovi in funzione di norme espresse, è comunque “in modo indipendente” da questo, obbligato anche alla redazione “entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio” a redigere un apposito e separato rendiconto riferito alle operazioni effettuate (del tutto eventuali) di raccolta pubblica di fondi (mentre ovviamente tale obbligo non esiste se non sono state effettuate raccolte pubbliche di fondi).

Interpretazione questa aderente alla lettera e alla ratio dell’art. 20, comma 2 citato e in antitesi a quella dell’Agenzia che attribuirebbe invece al medesimo termine “indipendentemente” un significato di cogenza in alcun modo presente nella disposizione.

Tutto ciò pur considerando che, da un punto di vista sistematico è condiviso ed accettato che ogni ente non profit a qualunque tipologia giuridica appartenga abbia obblighi etici di rendicontazione volti a manifestare l’attività dallo stesso svolta nonché i risultati conseguiti, agli interlocutori privilegiati dello stesso (siano essi soci, fondatori, partecipanti o altro).

Copyright © - Riproduzione riservata

29/12/2011
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