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    Campionato reginale Staffette ragazzi/cadetti.

Classificazione dei Corridori: Principiante, Tapascione, Jogger, Recordman, Selftester, Visibili, Professionista – Sacchettaro, Salutista (2008)

La corsa
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Uno degli scopi del mio nuovo libro (Il Manuale completo della corsa) è quello di fare in modo che i miei lettori, una volta appreso come correre, lo facciano per sempre. È questo lo spirito del wellrunness, del correre per vivere meglio. Devo confessare che l'obbiettivo è molto ambizioso e non è detto che lo centri in pieno.
Il fattore principale che si oppone al mio sforzo è che è facile verificare che la vita media di un runner è insolitamente bassa e soprattutto la pratica della corsa tende a essere molto discontinua. È molto bassa la percentuale di chi ha corso per 20-30 anni senza lunghe interruzioni. Per contro non è affatto bassa la percentuale di chi "ci ha provato". Spinto da una motivazione più o meno forte, ha messo le scarpette ai piedi e ha corso per un mese, un anno o qualche stagione. Poi, magari al venire meno della motivazione, è ritornato fra le fila dei sedentari o dei similsedentari.
Personalmente ritengo che questa realtà dipenda dal fatto che correre costa fatica. La corsa può essere una bellissima esperienza, ma per provare le sensazioni positive è necessario superare una certa soglia di fatica. Questa soglia è sicuramente modificabile con l'allenamento stesso (ed è quello che si prefiggono gli allenamenti per i principianti), ma resta comunque presente per tutta la nostra vita di runner.
La domanda che dobbiamo porci relativamente alla nostra passione per la corsa è:

M > FP?

Ovvero, la motivazione è superiore alla fatica percepita? Deve essere vero per tutti gli sport, ma per la corsa (e gli sport) di resistenza in particolare.

Le motivazioni

Non è questa la sede per esaminare in dettaglio le svariate motivazioni che portano la gente a correre. È però importante verificarne la durata potenziale nel tempo. Purtroppo verificheremo che la maggior parte di dette motivazioni sono temporanee, cioè particolarmente effimere.
 
Corro per dimagrire (principiante)
Consideriamo una persona che vuole dimagrire. Capendo la necessità di praticare un'attività fisica, si iscriverà a una palestra oppure deciderà di mettersi a correre o comprerà una bici con cui praticare ciclismo. In ogni caso parte da una motivazione molto forte. Se i risultati saranno inizialmente positivi (ciò dipende soprattutto dal praticare bene lo sport prescelto), continuerà. Una volta dimagrito, la motivazione iniziale non sarà più una molla e il soggetto si ritroverà solo con la sua fatica. Avrà imparato probabilmente che la corsa può essere molto piacevole, ma questo apprendimento in realtà vuol dire che in lui sono nate altre motivazioni (socializzazione, agonismo, salutismo ecc.). Solo se queste motivazioni sono durevoli, correrà per sempre. Usiamo il termine principiante perché nell'oltre 80% delle persone che iniziano a correre è presente la preoccupazione di arrivare a un peso forma migliore di quello che hanno.
 
Corro per socializzare (tapascione)
Tapascione è un termine che nell'ambito della corsa indica un soggetto che corre, ma che è spesso agli antipodi dell'atleta di resistenza abituato a faticare. Il termine è lombardo e deriverebbe da tapasciada ("grande faticata"). Nel mondo della corsa il significato si è deformato e, più che la fatica, richiama l'idea delle abbuffate che il tapascione è solito compiere alla fine della sua corsa. A volte è usato in senso dispregiativo, altre volte in senso piacevolmente affettivo. Il tapascione è colui che usa lo sport per coltivare interessanti rapporti sociali. Tipico partecipante alle manifestazioni non competitive, non pone lo sport in relazione diretta con il proprio benessere, non cura più di tanto l'alimentazione e spesso non è un modello salutistico in quanto ha frequenti deviazioni verso un cattivo stile di vita.
La socializzazione è una motivazione sicuramente positiva e probabilmente è presente in quasi tutti coloro che corrono, ma se è l'unica difficilmente risulta duratura. Lo sgretolarsi del gruppo, impegni di lavoro più pressanti, il formarsi di nuove amicizie al di fuori dell'ambito sportivo ecc. sono i fattori che tendono a ridurre nel tempo la durata della motivazione socializzazione.
Inoltre chi corre solo in base alla socializzazione difficilmente trova piacevole correre da solo e non è in grado di mantenere uno stato di forma decente con risultati non molto distanti da quelli del sedentario per ciò che concerne la salute e l'invecchiamento.
 
Corro per sentirmi in forma (jogger)
Il jogger è colui che pratica la corsa a livello di fitness. Il fitness si preoccupa dell'efficienza fisica momentanea senza una strategia a medio-lungo termine. Non a caso nelle palestre si praticano forme di attività fisica che tendono a gratificare immediatamente il cliente, ma che dal punto di vista salutistico non offrono grandi vantaggi (low training). Per l'amante del fitness, una corsettina di qualche chilometro nell'aria fresca di una stupenda giornata primaverile è sicuramente un fatto positivo, mentre in realtà, pur essendo un fatto piacevole, non rientra nelle attività che garantiscono un benessere duraturo.
Il jogger è colui che si ferma al benessere immediato della corsa, senza inserirla in un piano organico di miglioramento della propria vita. Il jogger non ha una conoscenza tecnica della corsa, non ha una dimensione competitiva, né dà particolare importanza ai rapporti sociali (è spesso il corridore solitario del parco cittadino alla domenica mattina). Spesso è un atleta stagionale, che corre cioè in primavera e in autunno, quando non fa troppo caldo o troppo freddo; in tal modo il suo grado di allenamento è altalenante, mai ottimale.
La preoccupazione salutistica (anziché il piacere salutistico di sentirsi bene) prende spesso il sopravvento, impedendogli di oltrepassare per prudenza certi limiti che garantiscono un allenamento accettabile. Spesso è vittima di luoghi comuni come il netto peggioramento delle prestazioni con l'età o l'inevitabile pancetta del quarantenne.
È evidente che la motivazione del jogger resta finché resta il piacere di correre. Quindi è veramente effimera, anche perché con il progredire dell'età per il jogger è naturale fare più fatica e quindi ridimensionare la qualità e la quantità della corsa.
 
Corro per migliorare le mie prestazioni (recordman)
Il recordman è colui che corre semplicemente perché vuole migliorarsi. Dal principiante al jogger, quando il soggetto introduce anche un'attenzione alla prestazione vuol dire che diventa runner. Vuole mettersi alla prova, il più delle volte senza arrivare a fare di questa prova una vera e propria mania (contraddistinta da atteggiamenti estremi, del tipo "in allenamento bisogna sputare sangue"). Asseconda semplicemente la motivazione di far funzionare al meglio il proprio corpo, verificando tale efficienza con la prestazione.
Curiosamente la motivazione del recordman non riguarda solo individui giovani, ma spesso è presente anche in soggetti di media età per i quali fare il record è una forma di immortalità (e il quarantenne che da sedentario ha scoperto lo sport spesso si sente tale). Una volta che ha esaurito tutte le cartucce (peso ottimizzato, allenamenti perfetti come frequenza, intensità e durata, esperienza notevole ecc.) e non migliora più, gli si apre davanti un terribile bivio: o smette o trova un'altra motivazione.
Un forma di record molto motivante è la barriera. Correre una maratona o superare il test del moribondo  possono essere forme di record a barriera. Il problema è che, una volta superata la barriera, la motivazione cessa ed è necessario trovarne una nuova. In alcuni casi si fissano nuove barriere (per esempio chi passa dalla maratona alla cento km), ma in genere la strategia è comunque temporanea perché alla fine le barriere da superare… finiscono o diventano insuperabili!
 
Corro per migliorare la mia autostima (selftester)
A differenza del recordman, che si mette alla prova senza implicazioni psicologiche, il selftester basa la propria autostima sul raggiungimento dell'obbiettivo sportivo. Correre una maratona non è tanto una barriera sfidante quanto un voto che il soggetto dà a sé stesso. Tipiche del selftester sono anche le sfide impossibili, come le ultramaratone o la maratona corsa da sedentario a maratoneta in sei mesi. In realtà lo sport non è visto come valore a sé stante, ma è semplicemente un mezzo con cui dire "valgo qualcosa". Fortunatamente questa motivazione non è molto comune, ma in genere è effimera proprio perché lo sport è un mezzo e non un valore: se non raggiungo l'obbiettivo in tempi brevi, la carenza di autostima mi convincerà che comunque "sono negato"; se raggiungo l'obbiettivo, posso continuare (anche per anni) finché ci riesco, poi, appena vengo ridimensionato, non ho più motivazioni e mi accontento di vivere di ricordi.
 
Corro per apparire (visibili)
Come molti altri campi, lo sport è legato al concetto di successo. Poiché nella popolazione è notevole la percentuale di chi ha un'autostima basata sul successo, è evidente che molti pensano di ottenere una visibilità sociale attraverso lo sport. Purtroppo però i campioni sono pochi e non tutti riescono facilmente a vincere o anche solo a entrare nei premi una garetta locale. Ecco allora che il visibile trasforma la partecipazione in vittoria. Se la gara a cui partecipo è estremamente dura, anche se non vinco, ma arrivo, ecco che sono un eroe. La maratona è naturalmente un fertile campo del visibile. Correre una maratona è spesso il sogno che fa iniziare la carriera sportiva di un sedentario. Se poi la maratona è quella di New York, allora... Poiché agli occhi dei non sportivi la maratona è qualcosa di incredibile, ecco che il visibile la usa per acquisire visibilità, nascondendo a sé stesso che finire una maratona è banale con un minimo di allenamento (ci è riuscito anche un novantenne, mentre nessun novantenne corre i 5000 m in meno di 20'). Quando la maratona non basta, ecco il fenomeno dei plurimaratoneti o degli ultramaratoneti. Un modo semplice per risultare visibile, se non si hanno grandi doti atletiche, è di compiere un'impresa che comunque pochi sanno terminare. Molti maratoneti si rendono conto che la loro maratona fatta "camminando" è un'impresa eroica solo se raccontata a obesi sedentari; ecco allora che scattano le idee geniali. La prima: se io ne corro tante, sarò uno dei pochi che ci riesce. Infatti negli scorsi anni chi correva dieci maratone all'anno era visto (da chi non capisce granché di corsa) come un mito. Poi finalmente sono arrivati Rizzitelli e altri che hanno dimostrato, senza nessuna pretesa di eroismo, che si possono correre 50, 100 maratone all'anno, cosa del tutto ovvia se si pensa che un professionista corre nei momenti di maggior carico 40 km al giorno! La seconda idea: dei plurimaratoneti se ne parla ormai poco, ma allora perché non allunghiamo e passiamo alle ultramaratone?
Da notare che la motivazione del visibile nulla ha a che fare con la motivazione del selftester, al quale non interessa la visibilità presso altri, ma soprattutto verso sé stesso, alla ricerca della costruzione di un'autostima che è troppo fragile.
 
Corro per vincere (professionista – sacchettaro)
A differenza del visibile, l'atleta che riesce (nel suo ambito) ad avere successo corre perché il successo è gratificante. Purtroppo pochi sono i campioni; in genere è molto più facile credere di esserlo; infatti, poiché la gratificazione è soggettiva, può apparire oggettivamente sproporzionata con il reale valore dell'impresa atletica. Quando le risorse allocate sono esagerate rispetto al successo ottenuto, si hanno deformazioni dell'agonismo che non sono francamente positive. È il caso del sacchettaro, colui che pone alla base del suo amore per la corsa la conquista di premi di basso profilo con un allenamento quasi professionistico; c'è per esempio chi gareggia ogni domenica per portarsi a casa un sacchetto di prodotti gastronomici spesso scaduti (da qui l'etimologia di sacchettaro). Il soggetto scimmiotta il campione e si rende spesso ridicolo: competizioni paesane diventano più agonistiche che una finale olimpica, una fitta rete di spionaggio informa il sacchettaro sulla presenza o meno di forti avversari a una gara con ricchi premi, meglio vincere correndo da soli nella propria categoria che arrivare secondi con un buon tempo, non spiace granché se l'avversario si infortuna ("eh, già, si allenava troppo, ecco perché mi batteva!") ecc.
Sia l'agonista sia il sacchettaro hanno una motivazione che dipende dai risultati e quindi sicuramente non eterna (pensiamo al ritiro del professionista). Anche se in campo amatoriale si sono introdotte le categorie e in teoria un atleta può risultare vincente fino alla fine dei suoi giorni, a livelli non assoluti spesso la vittoria è tale solo perché casualmente non c'erano avversari abbastanza dotati. Non a caso molti sacchettari smettono di correre quando "invecchiano" nella loro categoria (quarantottenni che devono gareggiare con quarantenni) o si ritrovano casualmente fra i piedi atleti più forti provenienti da altre zone.
 
Corro per la salute (salutista)
Spingendosi un po' più in là del semplice jogger, il salutista capisce l'importanza dello sport non solo per un benessere immediato (la splendida sensazione del dopo-doccia), ma anche a medio-lungo termine. Per questo inserisce lo sport in un piano strategico che ha come fine un buon stile di vita.
Consideriamo un soggetto che corre un paio di volte alla settimana, va in palestra il giovedì, gioca una partita di tennis al sabato, ama passeggiare la domenica, facendo escursioni in montagna, cura il proprio aspetto e mangia genuinamente, ha una visione positiva della vita, del lavoro, dei rapporti umani, gestisce in modo costruttivo lo stress delle sue giornate ecc.: è sicuramente un individuo che ricerca il proprio stato ottimale di forma, che ama il fitness ed è attento alla qualità della sua esistenza.
Nonostante ciò, sebbene sia avvantaggiato rispetto alla maggior parte delle persone, non è in grado di cambiare radicalmente le statistiche: probabilmente invecchierà come chi non va in palestra e dopo qualche anno i suoi colpi a tennis diverranno meno potenti e i suoi scatti meno guizzanti; probabilmente il chilo di peso in più presto si trasformerà in una pancetta che sua moglie potrà trovare anche sexy; probabilmente le sue vacanze diventeranno sempre più sedentarie e non si unirà più ai figli nelle partite di pallone che si organizzano nel campetto davanti all'albergo in cui alloggiano. Morale della favola: appartiene al soft people. La motivazione alla corsa di un salutista è cioè correlata alla visione che la media della popolazione ha dell'attività fisica in generale. Probabilmente se diluvia non esce, idem se è un'afosa giornata d'estate con 35 °C. Probabilmente sarà tentato di utilizzare un'andatura confortevole, sempre più lenta quanto più l'età gli suggerirà moderazione. Addirittura, arrivato a un certo punto, si convincerà che correre non fa più per lui e che forse è meglio darsi allo yoga o al trekking.

Il wellrunness

Wellrunness® è un marchio che ho registrato dopo essermi accorto che ognuno degli addetti ai lavori intendeva la corsa a proprio modo. La carrellata di motivazioni sopraesposta evidenzia la profonda differenza delle strade con cui la gente arriva alla corsa. Mi sono accorto che chi ottiene i maggiori benefici dalla corsa è però un'altra categoria di persone, ovvero quei soggetti la cui motivazione è l'amore profondo e disinteressato che nutrono nei confronti della corsa. Il wellrunness è

la pratica della corsa con lo scopo di correre fino alla fine dei propri giorni.

Le regole del wellrunness sono semplici e praticamente insite nella definizione. Vediamole:
  1. La finalità della corsa è il benessere a medio-lungo periodo. Se si vuole correre per sempre occorre stare bene!
  2. La corsa deve essere praticata a un livello di intensità medio-alta. Un'attività sportiva a basso livello non garantisce un invecchiamento ottimale.
  3. La corsa deve essere supportata da un'attenzione salutista verso l'alimentazione. Senza una coscienza alimentare non ci può essere uno stato di salute ottimale.
  4. La finalità dell'allenamento è il miglioramento della prestazione compatibile con la massima durata atletica. Inutile fare un record e poi smettere di correre.
  5. La più lunga corsa di resistenza compatibile con il wellrunness è la maratona. Salutisticamente le ultramaratone sono incompatibili con la massima durata atletica del soggetto.
Sicuramente il wellrunner è un salutista, ma non solo. Sa benissimo che senza un impegno a intensità medio-alta sarebbe destinato a rientrare nelle fila di chi con l'età riduce di molto il peso dello sport nella propria vita, perdendo molti benefici. D'altra parte è anche un soggetto equilibrato (il wellrunner tende a far parte dell'high people e non gli interessa né la visibilità né lo sport come stimolatore dell'autostima. È immune da certe deformazioni dell'agonismo, ma sa che senza impegno il suo fare sport è solo una versione di fitness. Come conciliare impegno sportivo con la motivazione e quindi con la durata della propria carriera? Scopriamolo con l'età fisica.

IL COMMENTO

Il percorso del wellrunner
 
Nell'articolo generale sulla corsa sono indicate diverse tipologie di runner. Al termine di esso viene indicato lo scopo che il sito propone a tutti i runner: essere wellrunner. Il tutto è racchiuso in 5 punti abbastanza chiari.
Interagendo con molti runner che mi scrivono, mi accorgo che la descrizione finale dello stato di wellrunner può non essere così chiara come sembrerebbe a prima vista. In particolare, ho notato che molti la sposano… saltando un piccolo, ma a mio avviso fondamentale passo, quello del recordman. Il risultato è che in genere molti runner finiscono per "correre per la salute", piuttosto che per un fine più ambizioso, quello di invecchiare bene.
Correre per la salute è abbastanza facile, soprattutto se si è in giovane età. In fondo è sufficiente superare il test del moribondo; se si inizia a correre a 50 anni od oltre, probabilmente correre per la salute e wellrunning coincidono; ma se si inizia a correre a 20-30 anni, è più facile che correre per la salute porti verso il low training. Un giovane che corra per 3 volte alla settimana per una dozzina di chilometri (a fondo lento) probabilmente riuscirà a superare in modo banale il test del moribondo (che è la soglia minima, ricordiamolo), ma non si può certo dire che sia un wellrunner.
Cosa manca a questo soggetto? La risposta facile è che manca la medio-alta intensità. Forse che tirando una volta su tre, sarebbe un wellrunner? Non penso. Negli anni un qualunque imprevisto, un qualunque calo della motivazione lo porterà a correre di nuovo da jogger con i suoi tre lenti.
La soluzione penso che sia invece nella fase del recordman. Chi ci è passato acquisisce una serie di informazioni tali che lo aiuteranno per sempre:
  • il suo massimo valore atletico; indispensabile per non barare con sé stessi. Troppo facile illudersi di non invecchiare quando a 60 anni ci si incomincia ad allenare seriamente (magari perché si ha più tempo) quando per 20 ci si è limitati a sfruttare il 70% del proprio potenziale;
  • la giusta priorità dello sport (il tempo dedicato a esso; non è possibile che un runner non abbia a disposizione 5-6 ore di allenamento settimanali perché di fatto userebbe lo stesso alibi del sedentario che sostiene che non fa sport perché non ha tempo);
  • la corretta autogestione (fondamentale per non passare da un infortunio all'altro; anche fare meno sport per non infortunarsi vuol dire gettare la spugna; al più ,se ci sono problemi, si può scegliere la distanza in funzione della propria distanza critica);
  • la corretta psicologia (il mettersi alla prova per vedere fin dove si può arrivare; molti runner troppo inclini a una visione competitiva dello sport non accettano di vedere i propri limiti);
  • la corretta cultura sportiva (per arrivare a qualche risultato è necessario conoscere la corsa, senza improvvisare).La fase del recordman può durare anche solo un anno (dopo un anno di allenamenti corretti un atleta non in sovrappeso arriva al 95% del proprio valore massimo), soprattutto se si corre già da un po' di tempo. Perché non provare?