• Festa fine stagione 2021
    Festa fine stagione 2021
  • Fabriano 2021
    Fabriano 2021
  • Corri Corridoania 2017
    Corri Corridoania 2017

    Partenza (foto Germano Carnevali)

  • Macerata maggio 2021
    Macerata maggio 2021
  • Civitanova Marche settembre 2021
    Civitanova Marche settembre 2021
  • Marcialonga della Solidarietà
    Marcialonga della Solidarietà

    San Claudio Corridonia

  • Fabriano Settembre 2021
    Fabriano Settembre 2021
  • Macerata 2017
    Macerata 2017

    Campionato reginale Staffette ragazzi/cadetti.

Quando gli enti non profit diventano del tutto o in parte imprese (Guida Normativa 1/11/2007)

Terzo Settore
1.11.2007 - n. 11 - p.41
Quando gli enti non profit diventano del tutto o in parte imprese

di Ghini Alfonso


Quando le associazioni non lucrative sono sul piano fiscale assimilabili a imprese, occorre analizzare le diverse specifiche tributarie e civilistiche per fare un quadro della situazione. Di sicuro, il Tuir è ancora il testo più completo per comprendere la casistica, determinata da enti non commerciali che fiscalmente hanno l'obbligo di seguire regole più gravose rispetto alle norme base del settore non profit.

Per il diritto ordinario le associazioni si distinguono in associazioni riconosciute e associazioni non riconosciute. Le prime sono collocate, insieme alle fondazioni ma con norme distinte per vari aspetti, nel Titolo II cod. civ. - Delle persone giuridiche, esattamente nel Capo II. Le associazioni non riconosciute, invece, trovano collocazione, unitamente ai comitati ma con regole diverse, nel Capo III del medesimo Titolo II cod. civ. Le associazioni, nel primo caso, devono essere costituite con atto pubblico (art. 14 cod. civ.). L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati (art. 36 cod. civ.). Esistono delle differenze più o meno rilevanti fra l'una e l'altra regolamentazione civilistica. Sul piano dell'imposizione diretta o sui redditi (Tuir approvato dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), le associazioni confluiscono nella classe degli enti non commerciali, cioè degli enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. Se l'esercizio di attività commerciale fosse esclusivo o principale, le associazioni si inquadrerebbero nella classe degli enti commerciali, che si distinguono, appunto, per una commercialità esclusiva o diffusa, tanto da diventare principale. Gli enti commerciali formano la lett. b) e gli enti non commerciali la lett. c) del comma 1 dell'art. 73 del Tuir (soggetti passivi dell'Ires). L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto. In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato (commi 4 e 5 dell'art. 73 del Tuir). Gli enti commerciali sono equiparati alle società di capitali, nell'applicazione dell'Ires (già Irpeg). Per gli enti non commerciali, invece, si ha imposizione sulla sommatoria dei redditi delle diverse categorie, transitoriamente, però, con applicazione dell'aliquota dell'Ires (art. 3, comma 1, lett. a della legge 7 aprile 2003, n. 80). Il reddito imponibile, per gli enti commerciali, è determinato sulla base degli articoli da 81 a 142 del Tuir, mentre per gli enti non commerciali valgono le disposizioni degli articoli da 143 a 156. Ci limitiamo, in questa sede, a considerare gli enti residenti.

La riforma tributaria
Nel reddito dell'ente non commerciale entrano i redditi fondiari, di capitale e diversi eventualmente posseduti. Non si formano redditi di impresa se l'ente non commerciale, con la sua attività, rimane nell'ambito della materia istituzionale, rigidamente delimitata attraverso la legislazione fiscale. Si realizza un trattamento impositivo, nonostante la norma statutaria non avente scopo di lucro, con i possibili sconfinamenti nel commerciale e la conseguente formazione di redditi di impresa, da far entrare nella base imponibile per le imposte sui redditi, coesistendo, quindi, con gli eventuali redditi fondiari, di capitale, diversi (ai sensi del Tuir). L'attuale regime tributario degli enti non commerciali è da attribuire alla riforma specifica dettata dal legislatore con l'art. 3 commi 186 e segg. della legge 23 dicembre 1996, n. 662. L'art. 3 è intitolato Disposizioni in materia di entrate. Per il comma 186 «Il Governo è delegato a emanare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della (presente) legge, uno o più decreti legislativi, al fine di riordinare, secondo criteri di unitarietà e coordinamento, la disciplina tributaria degli enti non commerciali in materia di imposte dirette e indirette, erariali e locali, nel rispetto dell'autonomia impositiva degli enti locali». Ai sensi dell'art. 3 comma 1 della legge 31 luglio 1997, n. 259, i termini per l'esercizio delle deleghe sono stati stabiliti al 30 novembre 1997. La delega che qui interessa risulta attuata con il D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 dalla rubrica, molto significativa, così concepita «Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale». I temi di maggiore rilevanza, oggetto della riforma degli enti non commerciali, sono i seguenti:

  • individuazione dell'oggetto, esclusivo o principale, degli enti non commerciali, con riferimento ai commi 4 e 5 dell'art. 73 del Tuir (ved. sopra);
  • fissazione dell'obbligo, esteso a tutti gli enti non commerciali, di compiere, con periodicità annuale, la verifica della sussistenza quantitativa della prevalenza dell'attività istituzionale su quella commerciale;
  • decommercializzazione di alcune tipologie di attività; " introduzione di obblighi contabili più precisi;
  • formazione di un nucleo di enti non commerciali, denominati Onlus, particolarmente agevolati e regolati da speciali disposizioni.

Organizzazioni di volontariato
Sull'attività di volontariato si esprime l'art. 2 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (legge-quadro sul volontariato); è stabilito che deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà (comma 1); che non può essere retribuito in alcun modo nemmeno dal beneficiario (comma 2); che possono essere rimborsate soltanto dall'organizzazione di appartenenza del volontario le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse. Si abbia presente, inoltre, che:

  • le attribuzioni di eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i fini indicati (art. 8, comma 2);
  • i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche [...] qualora sia documentato il loro totale impegno per i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato (art. 8, comma 4).

Con il D.M. 25 maggio 1995 sono stati stabiliti i criteri per l'individuazione delle attività marginali del volontariato. Rientrano in tale ambito le seguenti attività:
a) attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato;
b) attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;
c) cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempreché la vendita dei prodotti sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;
d) attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale;
e) attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell'ambito applicativo dell'art. 111 comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione. Il tutto si deduce dall'art. 1 del decreto. Per l'art. 2 del medesimo provvedimento, le attività devono essere svolte in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell'organizzazione di volontariato iscritta nei registri di cui all'art. 6 della legge n. 266/1991 (l'art. 6 della legge-quadro prevede «registri delle organizzazioni di volontariato istituiti dalle Regioni e dalle Province autonome»). Inoltre, le attività devono essere svolte senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l'uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell'impresa. Per l'art. 3 del decreto, non rientrano tra i proventi delle attività commerciali e produttive marginali quelli derivanti da convenzioni. Se non vengono osservate le condizioni stabilite dalle norme legislative o regolamentari, vengono a formarsi dei redditi d'impresa suscettibili di imposizione con le regole di detti redditi.

Associazioni di promozione sociale
La disciplina delle associazioni di promozione sociale è contenuta nella legge 7 dicembre 2000,
n. 383. Le finalità del provvedimento sono evidenziate nei tre commi dell'art. 1: riconosciuto il valore sociale dell'associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività, lo Stato favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale; vengono dettati i principi fondamentali e le norme per la valorizzazione dell'associazionismo di promozione sociale; si vuole favorire il formarsi di nuove realtà associative e, al tempo stesso, consolidare e rafforzare quelle esistenti. Come si rileva dall'art. 4 della legge n. 383/2000, le associazioni di promozione sociale traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento delle loro attività da:

- quote e contributi degli associati;

- eredità, donazioni e legati;

- contributi dello Stato, delle regioni, di enti locali, di enti o di istituzioni pubblici, anche finalizzati al sostegno di specifici e documentati programmi realizzati nell'ambito dei fini statutari;

- contributi dell'Unione europea e di organismi internazionali;

- entrate derivanti da prestazioni di servizi convenzionati;

- proventi delle cessioni di beni e servizi agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali;

- erogazioni liberali degli associati e dei terzi;

- entrate derivanti da iniziative promozionali finalizzate al proprio finanziamento, quali feste e sottoscrizioni anche a premi;

- altre entrate compatibili con le finalità sociali dell'associazionismo di promozione sociale. Come si vede, è possibile lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale. La normativa fiscale è racchiusa, principalmente, nell'art. 148 (enti di tipo associativo) del Tuir. Ecco le disposizioni che riguardano anche o soltanto le associazioni di promozione sociale:
1) non è considerata commerciale l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo;
2) si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità;
3) non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati;
4) non si applica la decommercializzazione di cui al numero 3 suddetto per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali né per le prestazioni effettuate nell'esercizio delle seguenti attività:
a) gestione di spacci aziendali e di mense;
b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;
c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
d) pubblicità commerciale;
e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
In pratica si possono avere enti non commerciali oppure enti non commerciali con attività commerciale.

Organizzazioni sindacali e di categoria
Le norme applicabili sono quelle viste per le associazioni di promozione sociale. Si ha un'eccezione nel comma 7 dell'art. 148 del Tuir. È scritto che per le organizzazioni sindacali e di categoria non si considerano effettuate nell'esercizio di attività commerciali le cessioni delle pubblicazioni, anche in deroga al limite di cui al comma 3, riguardanti i contratti collettivi di lavoro, nonché l'assistenza prestata prevalentemente agli iscritti, associati o partecipanti in materia di applicazione degli stessi contratti e di legislazione sul lavoro, effettuate verso pagamento di corrispettivi che in entrambi i casi non eccedano i costi di diretta imputazione. In caso di superamento, si determina l'insorgenza di reddito di impresa. Si collocano in questo ambito i sindacati di lavoratori, ma anche le associazioni dei datori di lavoro.

Associazioni sportive
Le associazioni sportive senza fine di lucro sono regolamentate dagli artt. 1, commi 1-3, 2 e 3 della legge 16 dicembre 1991, n. 398 come modificata dal D.L. 20 novembre 1996, n. 485. Per il comma 1 dell'art. 1 le associazioni sportive e relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti, che svolgono attività sportive dilettantistiche e che nel periodo d'imposta precedente hanno conseguito dall'esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 250.000 euro, possono optare per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta locale sui redditi secondo le disposizioni di cui all'articolo 2.
Per il comma 2 nei confronti dei soggetti che hanno esercitato l'opzione di cui al comma 1 e che nel corso del periodo d'imposta hanno superato il limite di 250.000 euro cessano di applicarsi le disposizioni della (presente) legge con effetto dal mese successivo a quello in cui il limite è superato. Per le associazioni sportive dilettantistiche valgono le norme contenute nell'art. 25 della legge 13 maggio 1999, n. 133, come sostituito dall'art. 37, comma 2, lett. a), della legge 21 novembre 2000, n. 342 e dall'art. 33 comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. È fondamentale l'art. 2 della legge iniziale: è stabilito che per le associazioni sportive dilettantistiche, comprese quelle non riconosciute dal Coni o dalle Federazioni sportive nazionali, purché riconosciute da enti di promozione sportiva, che si avvalgono dell'opzione di cui all'art. 1 della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, non concorrono a formare il reddito imponibile, per un numero di eventi complessivamente non superiore a due per anno e per un importo non superiore al limite annuo complessivo fissato con decreto:

  • i proventi realizzati dalle associazioni nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali;
  • i proventi realizzati per il tramite della raccolta pubblica di fondi effettuata in conformità all'articolo 108, comma 2 bis, lett. a), del Tuir, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, in materia di formazione del reddito complessivo. Con il D.M. 26 novembre 1999, n. 473 è stato approvato il Regolamento di attuazione della legge 133/1999 relativo alle disposizioni tributarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche. Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398 e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro. Così prescrive l'art. 90, commi 1, 17, 18, 18 bis, della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Esiste la necessità di certificazione del Coni dell'attività delle società sportive dilettantistiche (legge 27 luglio 2004, n. 186).

Onlus
Con il D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 è stato provveduto al Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Per l'art. 150 del Tuir si ha quanto segue sotto il profilo delle imposte sui redditi:

  • per le Onlus, a eccezione delle società cooperative, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale;
  • i proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile. Le Onlus beneficiano di particolari agevolazioni, specie di quelle contemplate all'art. 13 - erogazioni liberali - per gli enti che svolgono le attività di cui all'art. 10, il tutto del D.Lgs. n. 460/1997. Valgono le seguenti condizioni: perseguimento di finalità di solidarietà sociale; divieto di svolgimento di altre attività; divieto di distribuzione di utili; obblighi di reinvestimento; obblighi di devoluzione finale del patrimonio; obbligo di redigere il bilancio annuale.

La determinazione dei redditi
I canoni fondamentali, al riguardo, sono dettati dall'art. 144 del Tuir. Dall'esercizio in corso al 31 dicembre 1993 è stato stabilito che le spese non sono più deducibili secondo il rapporto fra entrate commerciali ed entrate totali di competenza, ma con i seguenti criteri:
a) sono deducibili integralmente dalle entrate di competenza dell'attività commerciale i componenti negativi risultanti dal bilancio se di diretta imputazione;
b) le spese relative a beni e servizi promiscui sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra ricavi commerciali e il totale complessivo dei proventi;
c) per gli immobili a uso promiscuo è deducibile la sola rendita catastale se di proprietà, o il canone di locazione o di leasing se in locazione, secondo la stessa proporzione utilizzata per i costi promiscui di cui al punto b) precedente. Con la riforma contenuta nel D.Lgs. n. 460/1997 entrato in vigore dal periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 1997, l'introduzione dell'obbligo della contabilità separata per le attività commerciali ha reso immediatamente applicabili a questi enti tutte le disposizioni previste per la determinazione del reddito d'impresa. Sono confermate le regole di individuazione della quota deducibile dei costi promiscui indicate alle lett. b) e c). La R.M. 13 marzo 2002, n. 86/E, riguardo alla modalità di tenuta della contabilità separata, consente l'utilizzo di un unico impianto contabile e di un unico piano dei conti strutturati in modo da poter distinguere le voci destinate all'attività istituzionale da quelle dell'attività commerciale. Sono presenti sul mercato, con larghezza, gli enti non commerciali con attività commerciale.

Regime forfetario
Gli enti non commerciali possono optare per la determinazione forfetaria del reddito d'impresa, applicando all'ammontare dei ricavi conseguiti nell'esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività corrispondente alla classe di appartenenza e aggiungendo l'ammontare dei componenti positivi del reddito di cui agli artt. 86, 88, 89 e 90:
a) attività di prestazioni di servizi:

  • fino a 15.493,71 euro, coefficiente 15%;
  • da 15.493,71 euro a 309.874,14, coefficiente 25%;

b) altre attività:

  • fino a 25.822,85 euro, coefficiente 10%;
  • da 25.822,85 a 516.456.90 euro, coefficiente 15%.

Per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività il coefficiente si determina con riferimento all'ammontare dei ricavi relativi all'attività prevalente. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi si considerano prevalenti le attività di prestazioni di servizi. Il regime forfetario si estende di anno in anno qualora i limiti indicati sopra non vengano superati. Sono stabilite regole per gli oneri deducibili e per le detrazioni di imposta (artt. 146 e 147, Tuir). Il regime forfetario presenta il vantaggio di richiedere una minore mole di adempimenti.

Considerazioni conclusive
Che la disciplina delle imposte dirette o sui redditi (Tuir) riveli - con assai maggior facilità rispetto al Codice civile - l'esistenza di reddito di imprese, non esiste alcun dubbio. Chi nutrisse delle incertezze al riguardo, dovrebbe prendere in attento esame il contenuto dell'art. 55 del Tuir; si renderebbe conto che la classe delle imprese commerciali secondo il Codice civile (art. 2195) non è che una delle diverse classi di imprese commerciali sul piano fiscale. In tale contesto finiscono anche enti di categorie sin qui viste, per il superamento di limiti fissati dalla legge o per le carenze nei requisiti posseduti. Cosicché si hanno associazioni senza scopo di lucro che fiscalmente sono imprese e, come tali, obbligate a seguire regole di determinazione dell'imponibile più gravose rispetto alle normative-base degli enti non commerciali. Sono enti divenuti commerciali che si affiancano a enti non commerciali con attività commerciale e, naturalmente, a enti non commerciali senza eccezioni di sorta, s'intende sotto il profilo tributario.